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Rave Party

Rave Party

Viaggio verso l’inferno


- di Guerrino Iacopini

 

Pubblicato su Profili Italia anno II numero 7 settembre 2009

 (clicca qui per leggere questo articolo nella versione editoriale)

 

I soliti sapientoni vorrebbero far passare il rave party per una sfida dei teenager alla società e alle sue regole. Per dargli una motivazione sociologica, magari facendo anche paragoni con Woodstock o con gli anni ’70. Ma altro non è che un luogo dove si va per riempirsi di droghe e alcol di ogni tipo e arrivare il più vicino possibile a quel confine oltre il quale c’è solo l’autodistruzione. Al rave non si va per stare con gli altri, o per parlare di problemi sociali, ci si va per il piacere personale di sentirsi il più possibile sconvolti e scoprire dove arrivano i propri limiti. Quando Internet e il tam tam degli sms avvisano i nomadi dello sballo su ora e luogo del “raduno del delirio”, il popolo rave s’incammina verso quello che crede il proprio paradiso e, che invece, sempre più spesso si trasforma in un viaggio verso l’inferno, dal quale difficilmente si torna indietro. Si comincia con qualche “canna”, e poi giù fiumi di alcol per passare poi a qualche cosa di più tosto come la ketamina. E durante la notte o sei stravolto e steso in qualche angolo solitario o sei ancora in piedi perché pieno di coca, anfetamine, ecstasy, superpill o chissà cosa, mentre sopra i camion gli altoparlanti ti sparano addosso 30.000 watt di acid music o techno music. Nell’ipermercato dello sballo si trova proprio tutto, tossici incalliti vengono da ogni parte per vendere qui le loro mercanzie, per potersi fare a loro volta, e gratis. Tanto loro non corrono pericoli, sanno dosare la roba e misurare i rischi, a differenza di tanti giovanissimi sprovveduti, ansiosi di assaggiare di tutto e di più. Spesso questo è anche il luogo dove la criminalità organizzata sperimenta i nuovi tipi di droga per poi diffonderli sul resto del mercato, se a lasciarci la pelle non sono in molti. Negli ultimi anni in Italia questi party hanno ucciso decine di ragazzi, mentre in centinaia sono finiti in ospedale per coma etilico o per overdose. Ci sono poi le vittime indirette, quelle provocate, per esempio, dagli incidenti stradali per guida sotto l’effetto di alcol e sostanze stupefacenti. A ferragosto altri due giovani hanno perso la vita durante i rave party. Un ventiseienne israeliano è morto in Molise, annientato da un’overdose di sostanze stupefacenti, mentre qualche attimo prima se la spassava al rave “Legal tecnica” in località Bocca della Selva, tra Guardiaregia (Campobasso) e Castello del Matese (Caserta). A poche ore di distanza, il secondo decesso, sempre durante una festa rave nel Salento, tra Castro marina e Marittima di Diso, dove è morta una ragazza di 23 anni di Potenza. Al raduno erano presenti circa duemila giovani che si erano dati appuntamento, come al solito, tramite sms e Internet. Un raduno occasionale, in mezzo a uliveti e campi incolti, dove sotto un caldo asfissiante e una musica a tutto volume, che si sentiva fi no a Lecce (a 40 chilometri di distanza!), i ragazzi, ubriachi fradici e fatti persi, per quanto incoscienti, non si accorgevano neanche di chi gli stava morendo a fianco. Se il problema non è la sfi da al sistema, allora cos’è? Più che interrogarmi sul fenomeno in se stesso, io padre di due fi gli, uno quasi diciannovenne e l’altra quasi tredicenne, mi domando: ma come si fa a non accorgersi che i propri fi gli tornano a casa sconvolti dall’alcol e dalla droga? Come si fa a non capire cosa e chi frequentano? Duemila ragazzi disfatti da un rave party e nessuno dei quattromila genitori si accorge di niente? Ecco, credo che il problema sia proprio questo. Quest’estate, per la prima volta, dopo una vita che mi ammazzo di lavoro per lasciare un po’ di sicurezza a mia moglie e ai miei figli, senza dirmelo apertamente, ognuno di loro mi ha fatto capire che per tutti è più importante stare insieme, parlare e prendere in considerazione l’altro anziché avere qualche soldo o qualche casa in più. Forse alle migliaia di ragazzi che ai party vanno a giocarsi una partita dove la posta in palio è la loro vita, quest’idea malsana neanche passerebbe per l’anticamera del cervello, se accanto a loro ci fosse una maggiore presenza dei genitori. Io lo sto facendo. Perché non provate anche voi a difendere la sola cosa che conta di più?

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