L'Iraq e le Sette Sorelle
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L’Iraq e le sette sorelle
Il ritorno nel Paese di sette grandi compagnie, per decenni padrone incontrastate del mercato petrolifero
- di Guerrino Iacopini -
Pubblicato su Profili Italia anno I numero 3 settembre 2008
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Al termine della Seconda Guerra Mondiale il nuovo ordine universale venne consolidato sugli interessi delle nazioni vincitrici, in particolar modo di America ed Inghilterra. Il petrolio divenne la prima risorsa energetica mondiale, superando il carbone. Negli USA la produzione nazionale di petrolio si rivelò insufficiente per la propria crescita industriale, di conseguenza era vitale mettere le mani sulle riserve petrolifere del Medio Oriente. Gli Inglesi ragionarono e si comportarono come gli americani. La presenza militare anglo-americana in Arabia Saudita fece si che in quella parte di mondo si potesse compiere la più grande operazione finanziaria del pianeta: il controllo, ad opera delle sette più grandi società petrolifere americane e inglesi, conosciute con il nome di Sette Sorelle, di quasi l’ottanta per cento delle riserve, nonché della produzione e della capacità di raffinazione petrolifera reperibile nel nostro pianeta, oltre alla gestione della quasi totalità del petrolio del Golfo Persico e di tutto il Medio Oriente. Ciò in virtù delle concessioni allora ottenute in quanto società appartenenti alle nazioni che avevano liberato quell’area geo-politica dall'oppressione nazista. Le statunitensi Standard Oil of California, meglio conosciuta come Chevron, Standard Oil of New Jersey (oggi Exxon), Gulf, Mobil, e Texas Oil Company (Texaco), l’inglese British Petroleum (BP), il gruppo anglo olandese Shell, per circa venti anni, dal 1950 al 1970, furono padrone assolute del mercato petrolifero grazie al controllo della sua intera filiera, dalla produzione alla commercializzazione del prodotto finito. Le Sette Sorelle, insomma, decisero le quantità di greggio da estrarre da ogni singolo Paese mediorientale, senza utilizzare mai l’intera capacità produttiva, equilibrando invece le produzioni dell’oro nero in maniera da non avere mai eccesso di offerta sul mercato e mantenere sempre alti i prezzi di vendita. Ai Paesi produttori andavano pochi spiccioli, mentre gli esorbitanti profitti erano spartiti esclusivamente tra le sette compagnie petrolifere. Il pensiero fisso americano era ed è che ovunque si trovi il petrolio, deve essere sotto il controllo americano. Circa 37 anni orsono, Saddam Hussein aveva nazionalizzato il petrolio iracheno e rispedito a casa “ l’Iraq petroleum company“ cioè, Exxon, Mobil, Shell e Total, vale a dire quattro delle Sette Sorelle. Il tesoro “nero” di Saddam Hussein corrisponde a 115 miliardi di barili di greggio, che dopo quello di Arabia e Iran, costituisce il terzo patrimonio mondiale, senza contare i giacimenti ancora da scoprire, nascosti sotto il deserto iracheno e che farebbero ammontare le riserve, incluse quelle ufficiali, a 300 miliardi di barili. Ci sono voluti tre anni, decine di migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti per capire che gli interventi militari americani in Iraq, non avessero come unico scopo la lotta al terrorismo e alle armi di distruzione di massa (mai trovate) o alla caduta di un dittatore come Saddam, ma che l’obiettivo principale era quello di appropriarsi del tesoro dell’Iraq. A dimostrazione di ciò l’annuncio di pochi giorni fa ad opera del Ministero iracheno del petrolio di aver aperto i propri pozzi alle multinazionali occidentali del petrolio, quelle che una volta si chiamavano le “sette sorelle” e ora sono affiliate sotto il nome di “Big Oil“. Eccole ritornate a Baghdad dopo 37 anni come assolute dominatrici delle riserve energetiche dell’Iraq. La decisione è stata presa proprio dal Ministero, dove gran parte dei consiglieri è di nazionalità americana. Mentre scrivo sono in vacanza al mare, nello stesso momento la speculazione sui costi petroliferi sta mettendo in ginocchio decine di migliaia di imprese e di famiglie del vecchio continente, l’anarchia del sistema capitalistico sta spingendo i prezzi energetici a cifre a dir poco folli, indirizzando l’economia mondiale verso scenari molto pericolosi. Intanto la Exxon, la Chevron, la Bp e la Shell si spartiscono interessi anche nell’area delle ex repubbliche sovietiche, ricche sia di petrolio che di gas naturale. Nello stesso momento Vladimir Putin, per mantenere il controllo degli oleodotti che dal Mar Caspio portano il petrolio al Mar Nero, verso i mercati occidentali, ha ordinato all’esercito russo di sganciare bombe sulla popolazione civile e indifesa della Georgia. E’ iniziata un’altra guerra del petrolio, un altro conflitto di stampo iracheno, altre migliaia di morti, altre grida strazianti, altro sangue ed altre lacrime. Ma questa è un’altra storia.
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